Nathanel, sulla terra, non esiste più. La squadra di giovani cestisti del cielo, già sfortunatamente numerosa, dovrà fare posto ad un altra promessa. È ormai lunga la lista di ragazzi che non potranno più calpestare il legno: a Nathanel piaceva stare in aria, ora i suoi piedi non atterreranno, balzeranno tra una nuvola e l’altra. Quindici anni, un’età meravigliosa: fame di autonomia, rifugio nell’amicizia, fuga dall’autorità, passione nello sport. Un gioco che si trasforma in tragedia. Un cuore avvezzo a battere forte che improvvisamente si ferma. Per un sorriso che si spegne, una stella si accende. Chi ha la fortuna di poter raccontare le prodezze giovanili, sa perfettamente che un angelo custode o qualche altra entità sconosciuta vegliava sull’imprudenza o sul rischio illimitato di alcune azioni insensate. Chi può dire, in quegli anni di spensieratezza e incoscienza, di non aver mai visto in faccia la morte? Come nella pallacanestro un secondo fa la differenza tra vittoria e sconfitta, così tra la vita e la morte. Un attimo, dove non c’è spazio per il pensiero, dove un ragionamento arriva troppo tardi. Oggi regna il silenzio e la compassione per chi è sopravvissuto: i familiari che lo piangeranno per sempre, gli amici che si torceranno tra mille domande, i soccorritori che, malgrado gli sforzi e la bravura, non hanno potuto impedire la tragedia. Per chi vive di pallacanestro, ricordare è un dovere: ciò che Nathanel non ha potuto completare, spetta a noi finirlo. Il suo sogno di diventare giocatore diventerà desiderio di ognuno. Nathanel, sulla terra, non esiste più. Nei nostri cuori, già sanguinanti da gravi perdite, un posto lo troverà sempre.