Già nel 2000, anno di fondazione, il Nuovo Basket sanciva nel proprio Statuto l’abrogazione del vincolo sportivo. Fummo riempiti di critiche, a volte di insulti. Da allora – oggi il ministro Spadafora ne ha fatto una legge – non è praticamente cambiato nulla. Perfino la FIP nazionale si è scagliata contro la nuova normativa, pensando di interpretare il pensiero delle società sportive affiliate. Come si fa a difendere il ‘vincolo’ sportivo? La stessa parola suggerisce pensieri orribili: legaccio, limitazione, catena, dominio. Se la sopravvivenza si basa su questi presupposti, meglio che lo sport muoia all’istante. Stiamo parlando di atleti in età giovanile ai quali viene appiccicato un valore e che possono essere utilizzati come merce di scambio. Parliamo di ragazzi e ragazze costretti/e a stare in un ambiente che non soddisfa le proprie ambizioni in nome di un ‘patto di sangue’ siglato ad un’età inconsapevole, dove il gioco predomina sull’agonismo. Quando si è chiuso il recinto, nessuno può scappare: solo un atto di compassione della società che detiene la ‘proprietà’ del giocatore – in alcuni casi una vera e propria trattativa con operazioni economiche – può aprire i cancelli e restituire la libertà. È incredibile, paradossale, patetico, pensare che nel 2020 qualcuno, soprattutto un minore, possa restare malvolentieri in un posto dove i desideri non possano realizzarsi: con quale spirito collaborativo – visto che parliamo di sport di squadra – un atleta scontento si relazionerà ai propri compagni e allenatore? Al Nuovo Basket 2000 pensiamo da sempre che quella del vincolo sia una battaglia persa e che l’approccio debba essere diametralmente opposto: siamo noi in discussione, noi che dobbiamo creare le condizioni ideali, presentare programmi validi, istruttori qualificati. Quale motivo avrebbe un atleta di andarsene se una società si propone con un profilo altamente professionale, dove anche i minimi dettagli, tecnici ed umani, vengono maniacalmente curati? L’abolizione del vincolo non è altro che il pungolo per tutti a presentare il piatto migliore ai propri tesserati. Pesce grosso mangia pesce piccolo? Pazienza, sappiamo tutti che i grandi campioni hanno iniziato a giocare in società periferiche e sconosciute. Anzi, dovrebbe essere motivo di orgoglio aver regalato un giocatore alla pallacanestro. Peggio, molto peggio, sarebbe avere sulla coscienza l’ennesimo abbandono.
Mese: Novembre 2020
L’impresa è essere normali
Ottimo. Dalle ultime disposizioni – ordinanza regionale n^43 – i ragazzi del Friuli Venezia Giulia potranno girare liberamente all’interno del proprio comune, ma non potranno fare attività motoria nei centri sportivi all’aperto. Quindi, se fanno una bella vasca in centro, spintonandosi e raccontandosi le ultime, nulla da eccepire. Ma non potranno fare ginnastica, potenziamento, esercizi aerobici in ambiente naturale, ossia tutto quello che può servire all’organismo umano per rinforzarsi e svilupparsi in armonia. Nessuno osi raccontare la barzelletta che ciascuno può, se vuole, lavorare nel giardino o in camera: perfino gli adulti più motivati faticano ad allenarsi in autonomia, figurarsi gli adolescenti. Siamo all’ennesimo paradosso: per contenere il contagio si va a colpire chi lo affronta. L’aspetto più umiliante di tutta la vicenda è il giudizio sotteso di irresponsabilità verso chi si occupa della formazione delle nuove generazioni: ma chi è quel pazzo educatore criminale che manderebbe degli indifesi allo sbaraglio? Quale istitutore, incurante di tutto e di tutti, farebbe del male a dei minori ai quali gli è stata affidata la custodia? Non c’è stato un caso che sia uno segnalato alle autorità da maggio ad oggi, con esercitazioni condotte quasi sempre all’aperto (un pò per scelta un po’ per costrizione). Gruppi spalmati su più turni per evitare assembramenti; istruttori e atleti come bravi funamboli che cambiano orari e abitudini di vita pur di soddisfare la fame di sport di tutti; protocolli rispettati maniacalmente in ogni circostanza; allenamenti dosati su misura di età e sopportabilità del carico. Non ci sono state assenze, nessuna resistenza o rifiuto: tutti uniti nel dare a questi bambini e ragazzi un’opportunità di vita, un’oasi di presenza fisica in giornate sempre più virtuali e fredde. Malgrado ciò, eccoci nel registro degli accusati: come vi viene in mente di fare attività fisica ai minori mentre la percentuale dei contagi sale? Sconsiderati e imprudenti: questi siamo. I danni che vediamo oggi non sono nulla rispetto a quello che dovremo riparare domani: una generazione intera derubata della propria normalità. Poiché, come dice Lucio Dalla, ‘l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale’. Mai attuale come oggi, purtroppo.
piccoli eroi, piccole eroine
Avete visto le facce dei ragazzi e delle ragazze che si allenano all’aperto? A noi capita spesso. Sono volti espressivi e parlanti. Cosa dicono? Dicono che va bene se devono fare addominali su una superficie rigida e fredda, che non fa nulla se la competizione si sposta dal numero di canestri a quello delle flessioni. Non è importante dove, è importante come. Se c’è amore, non c’è luogo migliore di un altro. Bisogna davvero essere innamorati per esercitarsi a temperature ed orari scomodi, con la luce del giorno che lascia spazi limitati di manovra. Soffrono, è normale. Come tutti. Vorrebbero che i canestri tornassero a contare, che gli arbitri fischiassero (certamente a favore), che il pubblico applaudisse, che si potesse tornare a raccontare stupidaggini in spogliatoio, che ci si potesse abbracciare e spintonare, che il sabato e la domenica fossero giorni di partite e non di allenamento. Eppure, non c’è un momento in cui il sorriso si spenga. Non si spegne di fronte a ripetizioni noiose di esercizi senza palla o dove la palla si stacca solo con destinazione canestro. Non si spegne sebbene non possano piacevolmente distrarsi per raccontarsi all’orecchio le ultime marachelle dell’amico comune. Gli istruttori? Hanno cambiato pelle: da insegnanti a studenti. Mai come adesso la professione è messa alla prova, costretta a rivalutare obiettivi e metodi, in costante adattamento a innumerevoli variabili. Quindi, benedetta pandemia? Non scherziamo, ma una cosa è certa e verificabile: atleti e tecnici forse non sono più bravi di prima – il tempo perso nell’allenarsi in situazione avrà un peso in futuro – ma sono più forti di prima (non certo e solo fisicamente). Non si è mai abusato così tanto come in questo periodo della parola ‘grazie’: ciò che in tempi normali è scontato oggi non lo è più. Nessuno si permetta di dire che questa generazione è rammollita e invertebrata: per quanto il sostantivo in fase d’emergenza sia spesso utilizzato – giustamente – per chi si batte in prima linea, anche questi ragazzi e ragazze possono essere definiti con il termine di ‘eroi’ ed ‘eroine’. Diciamo, vista l’età, piccoli eroi, piccole eroine.
fuori ‘con’ testa
Proviamo a fare chiarezza: qual’è la differenza tra attività motoria e sportiva? Qualcuno ci ha provato con l’abbigliamento: se metto la tuta significa che sono un atleta. La soluzione all’enigma è in verità più complessa: risiede pertanto nell’intensità dello sforzo? Anche questo parametro si dimostra debole: estremizzando, un giocatore di scacchi che compete per il campionato del mondo consuma meno calorie di un uomo o una donna che svolgono lavori di casa o di giardinaggio. Quindi? Quindi la distinzione sta nella intenzionalità: l’attività motoria è per gran parte spontanea, l’attività sportiva è finalizzata al raggiungimento di determinati obiettivi. Chiunque faccia una passeggiata in centro città non si pone alcun scopo competitivo se non quello di fare una camminata, respirare ossigeno e, magari, fermarsi a chiacchierare ogniqualvolta capiti di incontrare qualcuno. Lo sportivo, invece, anche se in solitudine, programma la sua uscita, definisce il percorso, si dà dei tempi minimi e massimi di esecuzione. Se tiro due calci al pallone sul prato, sto facendo attività motoria. Se invece, sempre sul prato, eseguo esercizi mirati al miglioramento tecnico del gesto del tiro, sto facendo attività sportiva in forma individuale. La discriminante sta nella intenzionalità del gesto stesso. Cosa significa in forma individuale? Non propriamente uno alla volta, vuol dire che ciascuno svolge lo stesso esercizio avendo a disposizione uno spazio congruo a mantenere il distanziamento. Perché all’aperto? Non solo perché la conduzione virale è ridotta ai mimimi termini, quanto perché l’ossigeno è l’elemento determinante nella lotta al Covid. Stare in casa, per quanto ci venga ripetuto alla noia tutti i giorni, non è il migliore sistema di difesa. Uscire per stare in gruppo assembrati senza protezione nemmeno. Fare attività motoria e sportiva all’aperto in totale sicurezza e rispetto delle norme è invece indispensabile per la salute fisica e, soprattutto, mentale.
In tutti i sensi
Già la didattica a distanza è un grosso problema, figurarsi lo sport. A distanza possiamo salutarci, raccontarci la giornata, persino ridere o piangere. Insegnare scienze motorie al computer è come chiedere ad un cuoco di cucinare senza ingredienti o pensare di saperlo fare dopo aver letto frettolosamente una ricetta sul libro della nonna. Anche lo sport segue la stessa regola: si può fare solo con la partecipazione straordinaria di tutti i sensi. Lo sport è rumore: quello del pallone che batte per terra o picchia sul ferro; le voci dei giocatori che si rincuorano o si mandano in quel paese; le urla dell’allenatore che chiede perfezione; il respiro forte e affannoso di chi corre avanti e indietro senza sosta; il fischio dell’arbitro, gli applausi del pubblico (incluse le intemperanze), le scarpe che cigolano sul legno. Lo sport è odore: quello inconfondibile dello spogliatoio, un mix di sudore e varichina; il pallone, che sa di cuoio consumato da tante mani e battaglie; le magliette, profumate in entrata, stonfe e irrespirabili in uscita; perfino la vittoria e la sconfitta hanno un odore e un sapore diverso. Lo sport è colore: le divise, simbolo perpetuo di appartenenza e distinzione; le linee del campo, le aree, le scarpe, i tubolari, le bandiere, il tabellone elettronico che decreta incontestabilmente e cromaticamente sconfitti e vincitori. Lo sport è soprattutto contatto: il contatto fra compagni di squadra fatto di mani alte, abbracci, e quello con gli avversari, corpo a corpo nei limiti della legalità. Strette di mano, pacche sul sedere, tagliafuori, blocchi: niente a che vedere con uno schermo freddo e neutrale. Non faremo sport a distanza. O in presenza, o non faremo sport. Andremo in posti isolati, su strade sperdute e dimenticate, oppure su cortili polverosi e garage con canestri arrugginiti: ciascuno saprà cosa fare, lo farà facendo e vivendo, non propriamente on line o in forma virtuale.