Mario Bortoluzzi, una vita (breve) nella pallacanestro

Mi dicevi ‘Console, dove vai quest’anno a fare danni?’ oppure “Se alleni tu, posso allenare anch’io’, ‘Truccolo e Piazza sarebbero diventati giocatori comunque’ e così via. Con il sarcasmo sempre pronto e con un’amore sviscerato per la pallacanestro. Avessimo avuto tutti, nell’ambiente cestistico, questa enorme passione, non ci troveremmo così in basso. Smisurato in tutto, nelle dimensioni, nelle battute, nella generosità, nelle auto. Procuratore per diletto, più che per professione. Grande conoscitore della materia, pur vivendola spesso ai margini. Non ti perdevi un evento importante, che fosse giovanile o senior: ricordo le sgroppate in giornata a Rimini per vedere le finali nazionali juniores in cerca di nuovi talenti. Non certo in Mitsubishi, di cui eri follemente geloso, ma con la comune Ford Fiesta di famiglia, di cui ti sei lamentato ogni santo minuto durante il viaggio. Le tue imitazioni erano celebri: riuscivi a dare un tocco di leggerezza in un ambiente spesso appesantito da invidie, maldicenze, lotte intestine. Ci hai lasciato troppo presto: anche in questo hai voluto esagerare, bruciando drammaticamente i tempi. E, ripensandoci, avevi ragione su tutta la linea, anche sulle frecciate che a malapena tentavo di scansare. Mario, non sono riuscito a salutarti: perdonami, non farci mancare, ovunque tu sia, l’ironia che non ti ha salvato, ma che può risparmiare tutti noi dal prenderci troppo sul serio.

Livio Consonni