Categoria: Eventi

De Profundis

Cari uomini di scienza e di politica, sapete cosa succederà adesso? No, non potete saperlo, visto che vivete nelle vostre comode dimore di cristallo ad anni luce dalla terra. Siete esperti di numeri, curve epidemiologiche, percentuali, indici ed algoritmi. A voi, che ve ne intendete di ‘salvaguardia della salute’, abbiamo il piacere di presentare lo scenario prossimo venturo. Anche questo, a suo modo, fatto di numeri. I bambini, ragazzi e giovani che praticano sport individuali o di squadra in ambito dilettantistico, abbandoneranno le palestre e i campi di gioco per trascorrere il tempo libero in attività sicure e che non possono subire stravolgimenti. Ecco un elenco frettoloso: televisione per i meno attrezzati, play station, game boy, chat di gruppo per i più fortunati. Per quelli un po’ più vivaci esistono attività più spinte, ad esempio atti vandalici e scorribande. Ognuno si arrangerà come meglio può e i danni potremo contarli alla fine. Se fosse un indovinello, cari uomini di scienza e di politica, vi risponderemmo che avete fatto acqua da tutte le parti. Nemmeno fuochino. Avete rivolto la vostra smania persecutoria nei confronti di un ambiente sano, che ha fatto capriole e avvitamenti pur di garantire la salubrità ai propri iscritti. Visto che non si è stati capaci di intervenire tempestivamente su trasporti e piazze affollate, scagliamoci dove è più facile trovare il colpevole. Sarebbe interessante capire, da maggio ad oggi, quanti casi di positività sono stati riscontrati nelle società dilettantistiche che si occupano di sport di contatto. Questi numeri in verità non vi interessano. E poi, scusate, se ci fosse davvero una consistente percentuale di rischio, pensate davvero che saremmo così incoscienti da restare aperti? Credete plausibile possa esserci qualcuno che possa mettere a repentaglio la salute dei minori? Offensivo, oltre che inutile e pretestuoso. Ora alle benemerite associazioni non resterà che recitare il De Profundis. Cari uomini di scienza e di politica, quando il virus sarà debellato – perché prima o poi ne verremo a capo – non contate solo i morti, per i quali proviamo continuamente commozione e cordoglio. Provate a contare anche i feriti, nell’anima e nel diritto sacrosanto di vivere, come si deve, la propria gioventù.

felici di sbagliarci

Con un DPCM alla settimana è pressoché impossibile programmare. Chi ci giudica in malafede provi a districarsi nel ginepraio di documenti, ordinanze, decreti che costellano la nostra quotidianità. Non c’è nulla da inventarsi: c’è solo un piccolo chiodino che tiene lo sport ancora appeso e prima o poi, sulla spinta dei numeri e del terrorismo mediatico, finirà per cedere. Pagheranno gli innocenti, se di colpevoli si può parlare. Dopo sforzi eroici per rimettere in piedi la baracca e con un attenzione maniacale nel rispetto delle regole, lo sport si fermerà, per la felicità di chi cataloga la motricità come un’attività non essenziale. Del resto, la bassa considerazione del Paese verso ciò che fa riferimento al corpo non è una novità: due ore di educazione fisica alla settimana rappresentano una mano frettolosa di vernice su una parete che si scrosta giorno dopo giorno. Per non parlare dell’assenza cronica nella scuola primaria, dove il movimento è il principale strumento di apprendimento per i bambini. Per quanto moderni e tecnologici, non riusciamo a disfarci della concezione tipicamente ‘gentiliana’ della scuola, dove la corporeità è sottomessa al potere del pensiero. Saremo ripetitivi, ma togliere lo sport in questo momento avrebbe degli effetti catastrofici sulle nuove generazioni. Proviamo a riassumere: sul piano fisico, indebolimento del sistema immunitario, aumento delle patologie cardio vascolari, crescita esponenziale dei casi di sovrappeso e obesità; sul piano psicologico, sfiducia nel futuro, depressione, instabilità  caratteriale; sul piano emotivo, incapacità ad esprimere ciò che si prova in profondità; sul piano sociale, rarefazione dei rapporti, chiusura in se stessi, boom di relazioni virtuali. Per non parlare delle associazioni sportive: vivendo esclusivamente di proventi elargiti dai soci, non potranno sopravvivere. Molte hanno già rinunciato a lottare, altre si aggiungeranno. Se muore lo sport di base, muore tutto lo sport. Pensateci bene: stupiteci una volta tanto, saremmo felici di sbagliarci.

Mario Bortoluzzi, una vita (breve) nella pallacanestro

Mi dicevi ‘Console, dove vai quest’anno a fare danni?’ oppure “Se alleni tu, posso allenare anch’io’, ‘Truccolo e Piazza sarebbero diventati giocatori comunque’ e così via. Con il sarcasmo sempre pronto e con un’amore sviscerato per la pallacanestro. Avessimo avuto tutti, nell’ambiente cestistico, questa enorme passione, non ci troveremmo così in basso. Smisurato in tutto, nelle dimensioni, nelle battute, nella generosità, nelle auto. Procuratore per diletto, più che per professione. Grande conoscitore della materia, pur vivendola spesso ai margini. Non ti perdevi un evento importante, che fosse giovanile o senior: ricordo le sgroppate in giornata a Rimini per vedere le finali nazionali juniores in cerca di nuovi talenti. Non certo in Mitsubishi, di cui eri follemente geloso, ma con la comune Ford Fiesta di famiglia, di cui ti sei lamentato ogni santo minuto durante il viaggio. Le tue imitazioni erano celebri: riuscivi a dare un tocco di leggerezza in un ambiente spesso appesantito da invidie, maldicenze, lotte intestine. Ci hai lasciato troppo presto: anche in questo hai voluto esagerare, bruciando drammaticamente i tempi. E, ripensandoci, avevi ragione su tutta la linea, anche sulle frecciate che a malapena tentavo di scansare. Mario, non sono riuscito a salutarti: perdonami, non farci mancare, ovunque tu sia, l’ironia che non ti ha salvato, ma che può risparmiare tutti noi dal prenderci troppo sul serio.

Livio Consonni

quale contatto?

Ma scusate un secondo. Ci siamo allenati con un giocatore alla volta e parliamo di sport di contatto? Quale contatto? Da maggio a giugno, pur di riaprire e dare ossigeno ai ragazzi, abbiamo allenato individualmente, è possibile spiegare ragionevolmente quale sia il motivo per chiudere agli sport cosiddetti di ‘contatto’? Qualcuno può illuminarci sulla differenza tra il distanziamento di atleti che lanciano una clavetta ed altri che fanno rimbalzare un pallone a terra? Tra una classe che fa ginnastica a corpo libero ed un gruppo di ragazzi che fa preparazione fisica? Potrei capire la competizione dove non può esserci controllo dei corpi in movimento vista la caratteristica di imprevedibilità degli sport di situazione: ma allenare il gesto tecnico e preparare fisicamente il corpo cosa hanno a che fare con il contatto? Il ragionamento è semplice: o si chiudono tutte le attività sportive – e sarebbe una catastrofe, per utenti e associazioni dilettantistiche – o non si chiude per nessuno – con alcuni accorgimenti, ad esempio vietare le competizioni e consentire gli allenamenti in forma tecnico/didattica oppure, come in Francia, salvaguardare le fasce con maggiore necessità di svago e movimento, come i bambini e i ragazzi. Fermare l’attività fisica sarebbe un crimine verso la salute. Un paradosso: per salvaguardare la salute si attenta alla stessa. Siate coerenti e rivolgetevi verso altre sponde. Lo sport è troppo aggrappato alla sopravvivenza per permettersi di trasgredire: e poi, ha le regole nel sangue, il mancato rispetto sarebbe un attentato a se stesso, un vero e proprio suicidio.

Covidvenza

Convivenza: ‘vivere insieme nello stesso luogo’. È quello che dovremmo imparare: noi e il Covid 19, vivere insieme nello stesso luogo. Abbiamo provato – e continuato – a trattarci da nemici e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo sport insegna ad affrontare gli avversari con rispetto: non si parla di eliminazione, né di sopraffazione, semmai di confronto aspro ma leale. Chiudere è come rinunciare a giocare, ritirarsi prima di aver lottato, alzare bandiera bianca. Fermare lo sport è una scelta incomprensibile e controproducente: non c’è ambiente più controllato e sicuro delle palestre. Igiene perpetuo, spogliatoi interdetti, misurazione temperatura, numeri scaglionati, istruttori ed atleti educati all’emergenza. Sacrifici immensi per garantire a bambini, ragazzi e giovani qualche ora di sano divertimento attraverso la pratica delle discipline che più amano. È necessario tirare fuori ancora la ‘storiella’ – perché così viene recepita ai piani alti – del valore preventivo sulla salute dell’attività motoria? È difficile capire che un atleta avrà meno possibilità di contagiarsi rispetto ad un non praticante? Colpiamo lo sport, così avremo più debolezza complessiva e maggiore vulnerabilità. Teniamo i ragazzi a distanza, così potranno finalmente passare tutto il tempo a navigare in mondi artificiali e asettici: pur non avendo la certezza di sconfiggere il virus, avremo probabilmente una generazione debole, complessata, asociale. C’è uno slogan ricorrente, mutuato dalla scherma, che calza a pennello: ‘non abbassare la guardia’. Cioè, non rilassarti, continua a proteggerti e a proteggere gli altri, non prendere sottogamba il duello. Significa anche: non abbandonare la pedana, finisci il combattimento, costi quel che costi. Ecco il significato di convivenza che è contenuto nel DNA del mondo sportivo: non mollare la presa, non fuggire il dolore, affronta con dignità e coraggio le difficoltà della competizione. Se chiude lo sport, chiuderanno per asfissia le società sportive. È proprio quello che vogliamo?

non ci vogliamo credere

Non ci possiamo e vogliamo credere. Se la notizia fosse confermata – sperando in un improbabile dietrofront – lo sport italiano, in particolare quello giovanile, darebbe l’addio alle scene. Un altro blocco degli sport di squadra significherebbe non mettere in ginocchio, ma azzerare le società sportive dilettantistiche, aggrappate ormai da tempo come sanguisughe alla sopravvivenza. Non c’è da stupirsi che molti abbiano già mollato, soverchiati da regole spesso impraticabili e dal reperimento sempre più arduo di fondi per mandare avanti la baracca. Interessante la strategia: fino a pochi mesi fa, indiziata era la scuola. Oggi, non si tocca, a costo di classi in quarantena, comportamenti smodati degli studenti, termoscanner non indispensabili e banchi ammassati in aule fatiscenti. Nello sport si stanno facendo sacrifici inimmaginabili per continuare a dare un servizio agli atleti in regime di sicurezza: misurazione temperatura, allenamenti all’aperto (già, le scuole non stanno concedendo le palestre), allenatori mascherati, turni abbreviati per concedere quantomeno a tutti uno spazio per allenarsi, registri di presenze, autodichiarazioni, igienizzazione fra un gruppo e l’altro. Naturalmente tutto a carico del volontariato, non certo di addetti professionisti. In questo delirio pompato ad arte – anche mediatica – sfuggono alcuni aspetti decisivi: le conseguenze sulle nuove generazioni saranno devastanti. Lo sport non è solo vittoria, sconfitta, classifiche, campionati: lo sport è, innanzitutto, salute mentale, prima ancora che fisica. L’indole competitiva è connaturale alla formazione della persona: i ragazzi devono misurarsi con se stessi e con gli altri per diventare gradualmente adulti. Sarà preoccupante l’aumento di casi di sovrappeso e obesità, ma ancor di più di instabilità e indolenza emotiva: dove potrà essere sperimentata e vissuta la gioia se non si potrà vedere un pallone entrare in rete, finire a terra dopo una schiacciata, attraversare la retina del canestro? Davvero non ci vogliamo credere. Se proprio si vuole fermare lo sport, si faccia come in Francia: gli adulti possono aspettare e trovare alternative, i giovani devono assolutamente continuare. Esiste una responsabilità sulla limitazione del contagio, che non è in discussione. Ce n’è un’altra, forse più sotterranea, ma altrettanto importante: il benessere dei giovani, etimologicamente inteso come ‘stare bene’ in ogni componente dell’esistenza. E noi, adulti, abbiamo il dovere di prenderci cura di loro.

care scuole

Care scuole, se ci siete battete un colpo. Lo sport è allo stremo, sta agonizzando come i pesci fuori dall’acqua. Rimangono pochi minuti, ore, giorni, poi sarà la fine. Non riguarda il  professionismo, che si regge su grandi capitali, organizzazione manageriale e strutture di proprietà: è il movimento di base che annaspa, bambini/e, ragazzi/e, giovani che non trovano spazi per allenarsi e coltivare la propria passione. È immaginabile, care scuole, che per voi il problema sia marginale: alle prese con classi pollaio da governare e con il Covid da lasciare fuori la porta, che qualcuno chieda di usufruire delle ‘vostre’ – vostre? – palestre vi lascia particolarmente indifferenti. Ci sono problemi ben più grossi che occuparsi della gioventù che corre, danza, volteggia, schiaccia…Siete talmente preoccupate, care scuole, di non avere responsabilità che ve ne state prendendo una più grande, persino più grave: per tutelare, a detta vostra, la salute della new generation la state paradossalmente minando. Per un contagiato in meno, avremo centinaia e migliaia di ragazzi/e in sovrappeso, con problematiche posturali e in uno stato ipertensivo precoce. Ogni giorno che passa è un atleta in meno: è una corsa contro il tempo, il cont down è iniziato. Tra poco, se non già adesso, lo sport sarà un lusso per pochi eletti, i sopravvissuti della catena darwiniana alla selezione inevitabile della specie. Care scuole, forse non intenzionalmente, tradendo la vocazione educativa, vi state allineando all’idea dominante che l’attività motoria si trovi in fondo alla lista delle necessità. Le palestre, è giusto ricordarlo, non sono state costruite ad uso esclusivo degli alunni, ma per il bisogno della comunità: gli abitanti scolastici transitano, le società sportive rimangono a presidiare il territorio nel compito insostituibile della formazione integrale dei giovani. Care scuole, sbrigatevi: questo ritardo rischia di diventare colposo e a pagarne le conseguenze saranno, come succede spesso, gli innocenti. ‘Per quanto vi crediate assolte, siete lo stesso coinvolte’.

MINIBASKET2000WINNERPLUS

Sono aperte ufficialmente le iscrizioni al Minibasket 2000 Winner Plus, nato dalla collaborazione tra Sistema Basket e Nuovo Basket 2000. Ci si può recare presso gli uffici dell’ex Fiera tutti i giorni feriali dalle 17.00 alle 19.00. Per informazioni scrivere a nuovobasket2000@libero.it oppure chiamare 0434/520824 334/3373207

custodi non proprietari

Se la notizia fosse confermata, per lo sport in generale e la pallacanestro in particolare, sarebbe la fine. L’aspetto più disturbante di tutta questa vicenda è la presunzione, da parte dei vertici di ciascuna istituzione scolastica, di possedere ogni diritto sugli impianti sportivi. Difficile capire che le palestre non possano essere concepite come aule: in queste ultime si fa lezione frontale con tanto di banchi, nelle prime si svolgono le attività motorie e sportive. Se fossimo dall’altra parte dell’Atlantico, ma non lo siamo, le palestre costituiscono un unicum scolastico e gli atleti sono gli stessi che frequentano le aule: non c’è bisogno di alcuna concessione, ogni alunno trova posto assecondando i propri desideri sportivi. In terra italica, gli utenti pomeridiani sono in gran parte diversi da quelli mattutini e, casualmente ma non troppo, sono generalmente residenti. Ma l’abnorme differenza tra il lato occidentale e quello orientale dell’oceano è soprattutto nella concezione ontologica dello sport: di là, parte essenziale della formazione umana; di qua, appendice irrilevante se non addirittura inutile ed ingombrante. Alle dirigenze scolastiche, parliamoci chiaro, non è mai piaciuto concedere – si, concedere! – le palestre alle associazioni sportive: pulizie, manutenzioni, guasti, rotture. Come se qualcuno si infiltrasse in casa propria senza chiedere il permesso. Non è stato il COVID a mettere in ginocchio il sistema, è il sistema stesso che è sbagliato all’origine: le palestre non sono proprietà delle scuole, sono a disposizione della comunità e come tali devono essere utilizzate! Sono le amministrazioni locali che devono gestire la ripartizione. Lasciare agli organi collegiali scolastici il diritto di concedere o meno i locali adibiti all’attività sportiva è una stortura che deve essere abolita in fretta. Ricordandoci che presidi, insegnanti, bidelli, allenatori, siamo tutti ospiti e custodi di queste strutture, non ne siamo proprietari: e se è vero che non siamo a casa nostra, siano terzi  a decidere chi far entrare e chi no.

seconda stella a destra

Dipende: se l’intento è quello di non mollare la guardia e di continuare ad osservare alcune precauzioni, ci trova d’accordo. Se invece diventa un subdolo marchingegno per scoraggiare la libertà di iniziativa, non possiamo accettarlo. Il diritto dei bambini e dei ragazzi al divertimento attraverso la pratica sportiva è sacrosanto e noi, costi quel che costi, ce ne faremo carico. In sicurezza, ma senza esitazione. La strategia del terrore, che trova terreno fertile nel frullatore mediatico, si infrange contro la nostra determinazione nel proseguire la missione che ci è stata affidata: appassionare le nuove generazioni allo sport più bello, la pallacanestro. Inevitabilmente nel mondo, in Italia e, forse e purtroppo, anche qui vicino ci saranno ancora contagi, terapie intensive, decessi: non siamo freddi e cinici di fronte al perdurare pandemico. Tuttavia, fortemente avvertiamo la necessità di offrire un approdo nel mare in tempesta dove navigare a vista sembra la normalità e non l’eccezione. Per questo, per amore del nostro lavoro – inteso come professionalità, non come professione – e non per cieca follia, decidiamo di issare l’ancora e di lasciare immediatamente il porto. ‘Seconda stella a destra, questo è il cammino’. I piccoli avranno due settimane di gioco libero e gratuito all’aperto con il PUFFO CAMP – ritrovo tradizionale di settembre che quest’anno sarà speciale vista la ricorrenza del ventennale – i più grandi inizieranno a sudare in vista, speriamo quanto prima, di misurarsi con i coetanei. Lo sport, soprattutto per gli adolescenti, non è fatto solo di apprendimento, ma anche di confronto: se questo non sarà possibile, tutto sarà destinato a morire, lentamente ma inesorabilmente. Siamo gente di sport, siamo competitivi. Abbiamo imparato a soffrire sui campi: il dolore, gli infortuni, le sconfitte, le umiliazioni, la fatica. Abbiamo affrontato avversari più forti senza tirarci indietro. Il Covid non fa paura, la paura fa il Covid. Non sottovalutiamo, non neghiamo, ma nemmeno esitiamo. Qualcuno dovrà pure mostrare coraggio.